Riscrivi il tuo futuro ora: 3 esercizi pratici

riscrivi il tuo futuro ora
Alessia
Insegnante di yoga, meditazione e mental coach

Tendiamo a usare le parole emozione, sentimento e stato d’animo/umore in modo intercambiabile. Di certo sono realtà strettamente correlate, ma ci sono differenze fondamentali la cui comprensione è importante per imparare a riscrivere il tuo futuro ora.

Essenzialmente le emozioni sono fisiche e istintive. Sono state programmate nei nostri geni da millenni di evoluzione, sono complesse e coinvolgono una varietà di risposte fisiche e cognitive, il cui scopo generale è di produrre una risposta specifica a uno stimolo. Per esempio: Sei da sola e a piedi nella savana, vedi un leone e subito ti spaventi. Le emozioni possono essere misurate oggettivamente dal flusso sanguigno, dall’attività cerebrale, dalle espressioni facciali e dalla posizione del corpo. 

Nota importante: le emozioni sono prodotte dal sistema limbico, il nostro centro di elaborazione emotiva. Ciò significa che sono irrazionali e irragionevoli, perché il sistema limbico è separato dalla neocorteccia, la parte del nostro cervello che si occupa dei pensieri coscienti, del ragionamento e dei processi decisionale.

I sentimenti invece si dispiegano nel nostro sentire consapevole. Sono associazioni mentali e reazioni a un’emozione, sono personali e acquisiti attraverso l’esperienza.

L’emozione viene prima ed è universale. Che tipo di sentimento diverrà, varia enormemente da persona a persona, da situazione a situazione, da cultura a cultura, perché i sentimenti sono modellati dal temperamento individuale e dall’esperienza. I sentimenti sono causati dai propri pensieri in merito a circostanze e persone. 

Per esempio: Due rappresentanti di scarpe si recano in un’isola lontana per aprire un nuovo mercato per la loro linea di scarpe. Una volta arrivati, ispezionano l’area per valutarne il potenziale. Poco dopo il primo venditore, in uno stato d’animo abbattuto, chiama l’ufficio e dice: “Cattive notizie, nessuno qui indossa scarpe”, di conseguenza prende il primo aereo per tornare a casa. L’altro rappresentante invece chiama l’ufficio in preda a un sentimento di felicità incontenibile: “Ottime notizie! Nessuno qui indossa scarpe e non abbiamo concorrenza, portiamo qui tutte le nostre scarpe!”.

Gli stati d’animo/umori, a differenza di emozioni e sentimenti, sono meno specifici, meno intensi e meno suscettibili di essere provocati da un particolare stimolo o evento. Gli stati d’animo sono generalmente descritti come aventi un impatto positivo o negativo, in altre parole di solito si parla di buono o di cattivo umore.

Definire le proprie emozioni e i propri sentimenti

Per quanto non vi sia un accordo universale sulle definizioni lessicali e semantiche di emozioni e sentimenti, da un punto di vista operativo può essere molto utile se(le)zionare ed etichettare le proprie emozioni e i propri sentimenti, anche senza preoccuparsi più di tanto se ciò di cui stiamo parlando è un sentimento o un’emozione così come definiti sopra.

Esempio 1: Amore

Amore è una parola che nella nostra cultura ha quasi del tutto perso il suo significato, un po’ per poca chiarezza di sentimenti (desidero? sono innamorato? amo? voglio bene? provo tenerezza?) e un po’, ultimamente, anche per l’influenza dell’inglese (I love soccer = mi piace il calcio). L’inglese però, nella sua concretezza, getta chiara luce sul funzionamento del sentimento: amo perché mi piace, cioè perché mi dà benessere. Di conseguenza l’oggetto dell’amore non è che uno strumento di benessere, attraverso un movimento emotivo del tutto egoistico e quindi del tutto contrario a ciò che l’amore pretende di essere: la mia spinta al benessere dell’altro.

Come si può recuperare un po’ di onestà semantica se non di sentimenti?

Se dico che “do a coloro che amo”, sto dicendo una frase ipocrita senza collegamento con la realtà. Da dove sarebbe venuto fuori quell’amore che mi incita a dare? Perché lo provo? Perché proprio in relazione a questa persona e non a un’altra?

Se dico che “amo coloro a cui do”, sto invece descrivendo la realtà delle cose. Perché? Perché se do qualcosa di mio a qualcuno, diciamo investo del mio in un’altra persona, rendo quella persona destinataria e custode del mio investimento e perciò degna della mia attenzione, della mia cura, del mio rispetto ecc. È pur sempre una forma di auto-gratificazione ma grazie alla quale l’altro diventa per me una persona e perciò degna del mio amore.

Questo non risponde a tutte le domande (per esempio: Perché in una relazione sentimentale scelgo una persona piuttosto che un’altra? Inoltre molte relazioni affettive sono date e non si scelgono: genitori, figli, parenti. Ecc.) ma è un punto di partenza migliore che illudersi di un amore tra anime gemelle o, peggio, confondere senza saperlo erotismo e affetto.

Esempio 2: Rabbia, collera, risentimento

Quando qualcuno fa qualcosa per provocarmi, darmi fastidio o danneggiarmi, posso dire di provare rabbia. È un’emozione incorporata ai miei geni che non posso controllare. Definisco questa situazione rabbia.

Come reagisco alla rabbia è già un altro paio di maniche: me ne vado? rispondo e attacco? Le reazioni alle emozioni di base sono spesso istintive, appunto perché reagiscono a impulsi subcoscienti, ma con impegno ed esercizio si può imparare a controllarle. Come? Per esempio, se si è soggetti a questo tipo di emozione, tenendo un Diario della collera, in cui ogni volta che vivo la rabbia ne registro la causa, la mia risposta e, a sangue freddo in un secondo momento, valuto se ho risposto nel migliore dei modi possibili (leggi: il più conveniente e salutare per me). Definisco questo sentimento controllato collera.

Infine, per quanto tempo permetto alla rabbia di albergare in me e alla persona che mi ha provocato di vivere nei miei pensieri e nei miei sentimenti senza “pagare l’affitto”? Definisco questo stato d’animo risentimento.

In questo modo posso isolare varie fasi di un percorso emotivo e trattarle separatamente. Una chiara (anche se solo personale) definizione lessicale di emozioni, sentimenti e umori mi aiuta a fare luce sulla natura delle cose e dei miei stati interiori e mi permette così maggiore efficacia e precisione nel trattamento dei loro aspetti indesiderati.

Riscrivi il tuo futuro ora!

Finora abbiamo parlato quasi esclusivamente di lessico, dell’uso delle parole e dei loro significati. Ma il lessico è la base per costruire delle frasi e perciò delle comunicazioni. La comunicazione che ci interessa qui affrontare è la narrazione autobiografica, ovvero la storia che ci raccontiamo di noi stesse.

Ci sono molte cose nelle nostre vite su cui abbiamo poco o nessun controllo, ma tra le cose che possiamo controllare ce n’è una importante: la nostra storia. Questa narrazione non contiene però i fatti oggettivi della nostra vita, è invece la storia che ci siamo raccontate e che ci raccontiamo su chi siamo, come ci comportiamo e come ci vanno le cose. Il problema con questa storia è che troppo spesso non è accurata: alcune scene emotivamente difficili sono troppo presenti – basti pensare a tutte le abitudini che non si riesce a lasciare andare – e altre scene vengono invece cancellate, spesso quando le cose invece sono andate bene. Si tratta perciò una storia editata e non oggettiva, veritiera ma non completa. E la parte peggiore di questa mezza verità è che diventa una profezia che si auto-avvera (detta anche “effetto Pigmalione”), cioè è il fondamento di ciò che ci aspettiamo da noi stesse in futuro. La nostra narrativa inesatta tende a essere quella a cui ci atteniamo quando ci troviamo di fronte a difficoltà o delusioni.

Come cambiarla? Con un’azione tripartita:

Mettere in discussione le proprie convinzioniterapia narrativa 

Comincia a raccontarti la tua narrazione autobiografica, magari anche a voce alta, e cerca di identificare il punto di riferimento emotivo principale, ovvero la tua mezza verità. Dal momento che l’hai accettata da tempo come racconto ufficiale di te stessa, potrebbe non essere super-ovvio identificarla. Se non sei sicura di quale storia si tratti, prova a riempire gli spazi vuoti:

“Se infrango una promessa che ho fatto a me stessa, mi sento ___________”.

“Quando qualcuno mi ignora, mi sento _____________”.

“Quando il mio partner/la mia migliore amica e io litighiamo, mi sento _____________.”

Un altro modo per provare a identificare la propria storia finta (NB. distinguere falsità da finzione!) è ascoltarsi mentre si parla a sé stessi e notare quando si fanno affermazioni che iniziano con “Io sempre ______”, “Sono sempre ______” o “Non ho mai ______” e simili.

Dopo aver trovato la tua storia pregiudiziale, ripensa alla tua infanzia e prova a cercare le esperienze che hanno contribuito a crearla e a nutrirla. E se finisci per identificare più storie finte, scegli quella che ha avuto più influenza sulla tua vita. Per quanto ci siano molte storie e molte possibili revisioni da poter fare, c’è una storia base che merita di essere identificata e rielaborata per prima: la tua storia finta deve essere ri-editata.

Se per esempio è tua profonda convinzione che qualunque cosa tu faccia non è abbastanza, forse i tuoi genitori erano raramente soddisfatti dei tuoi risultati, anche quando invece erano ottimi, e si fissavano sulla tua prossima pagella o sul tuo prossimo esame. Anche se questo era il caso quando eri bambina, è ancora vero che quello che fai non è mai abbastanza? La tua storia non deve essere stata causata necessariamente dai tuoi genitori, ma in genere è il risultato di una relazione fondamentale che avevamo da piccoli o da molto giovani, in un momento precedente alla comprensione della differenza tra reazione sana e malsana a qualcosa che ci fa violenza/soffrire.

Non colpevolizzarti –  psicologia positiva

È normale sentirsi un po’ scoraggiati quando ci si rende conto da quanto tempo ci si sta raccontando una storia finta. Ma non siamo soli, molti di noi vanno in giro con queste storie appiccicate addosso, anche i più insospettabili. Abbiamo bisogno di essere compassionevoli con noi stesse, anche e soprattutto per il modo in cui tutto ciò è iniziato. La maggior parte di noi crea narrazioni finte per ragioni comprensibili: la necessità di mantenere il controllo (almeno al livello del sentire) e la tendenza – soprattutto dei bambini – a generalizzare situazioni specifiche.

Pensa invece a tutti i tuoi punti di forza e ai tuoi talenti e apprezzali. Mentre le situazioni che ti hanno portato a scrivere la storia finta ti hanno fatto diventare quella che credi di essere oggi, molto probabilmente i tuoi punti di forza e i tuoi talenti ti hanno influenzato in modo positivo. Forse ti hanno reso più intraprendente, più responsabile, più empatica o più ambiziosa. Questi aspetti positivi, siano essi grandi o piccoli, meritano un posto nella tua storia.

Introduci elementi positivi nella tua narrativa – padronanza di sé

Ritaglia la tua mezza verità, elimina tutto ciò di cui non hai più bisogno, in modo da raccogliere tutte le eccezioni positive alle tue regole negative di vecchia data. Accetta il fatto che non è pericoloso andare avanti, ri-edita la tua storia e riscrivi la storia del tuo futuro in modo più completo ed equilibrato.

Ora è il momento! Puoi farlo. Se hai dei dubbi scrivimi e sarò felice di iniziare con te al tuo nuovo romanzo personale.

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