Nessuna di noi ha scelto di essere vittima di manipolazione psicologica: abusata, emozionalmente o mentalmente, manipolate, confuse, tanto da distruggere la nostra autostima.
Chi si trova in una relazione tossica vittima-carnefice ha forse anche provato a lungo a modificare la situazione in cui si trova, ma senza riuscirci, e questo le ha sicuramente fatto immaginare di non averne le capacità, ha rafforzato la sua scarsa autostima. Magari ci hanno insegnato che per ottenere risultati occorre impegnarsi e allora pensiamo: “forse non mi sono impegnata abbastanza”. Quando poi scopriamo che c’è un nome per quello che stiamo vivendo, che esiste una spiegazione alle dinamiche che ci irretiscono, che qualcuno ha codificato in noi il nostro senso di impotenza e confusione, davanti a noi si apre un universo. Certe volte è un baratro, ma almeno scopriamo che è possibile guarire dalle abitudini negative e anche uscire dalle relazioni che ancora ci opprimono.
La manipolazione psicologica che sta alla base delle relazioni tossiche non avviene solo tra le coppie, ma anche nel sistema famiglia e nelle relazioni di amicizia. Anzi, accettiamo una relazione sentimentale tossica perché ci siamo abituate dalle nostre relazioni famigliari e, anche se fa male, sappiamo già come gestirla. Per me almeno è stato così.
Dare un nome al tipo di disagio che si prova è un primo passo per la guarigione: a livello cognitivo riusciamo così a identificare la situazione, anche se in maniera sfocata.
Sintomi dell’abuso psicologico sono:
- la tendenza al rimuginio mentale
- la dissonanza cognitiva
- l’isolamento e il senso di solitudine
- l’autocolpevolizzazione
- il senso di vuoto interiore e inutilità
- la mancanza di autostima
LA SPERANZA
La grande fregatura delle persone vittime di manipolazione psicologica è la speranza: la speranza che l’altro possa cambiare il modo di comunicare, la speranza che con il dialogo l’altro possa comprendere che i messaggi che manda sono ambigui, che creano confusione e svalutazione.
La speranza del cambiamento accomuna ogni persona vittima di manipolazione psicologica. Il cambiamento è l’aspettativa che proiettiamo sull’altra persona e, nell’attesa di ciò che non avverrà mai, l’unica cosa che cambia siamo noi, a tal punto che non ci riconosciamo più.
Inoltre, i manipolatori tossici hanno spesso timore di essere abbandonati e, in modo difensivo, insinuano che il partner voglia farlo, un ricatto emotivo che ci impedisce spesso di uscire dalla relazione per senso di colpa. Anche questa è una forma di controllo, controllo sulla nostra vita ma anche sulle ferite profonde che spesso loro stessi hanno.
Occorre lasciare la speranza di cambiamento proiettata sui carnefici, ma la speranza che non occorre mai perdere è di guarire e vivere felici! All’inizio è doloroso, ci arrabbiamo e siamo incredule che debba essere così. Ma non c’è altra scelta: dobbiamo scegliere la speranza nella nostra vita!
LA DOPPIA SOLITUDINE
Quando viviamo determinate dinamiche, può capitare di non sentirsi comprese da nessuno e completamente sole. In realtà esistono due tipi di solitudine.
C’è una prima solitudine all’interno della relazione di coppia, amicizia o parentela, quando gli altri iniziano a isolarci o noi stesse ci isoliamo perché non riusciamo a instaurare un dialogo: capisci e senti che sei sola, che non c’è in effetti relazione. Quando esprimi il tuo dolore emotivo, le risposte sono: “sei esagerata”, “sei stressata”, “le relazioni sono così”, “stavo scherzando”, e tu, per non abbandonare relazione nella speranza che qualcosa cambi, metti in atto una dissonanza cognitiva: ti dissoci dal tuo sentire e trovi giustificazioni allo stato delle cose, infinite giustificazioni.
Un esempio favolistico di dissonanza cognitiva lo possiamo trovare nel celebre racconto La volpe e l’uva di Esopo, dove la dissonanza fra il desiderio che la volpe ha dell’uva e la sua incapacità di raggiungerla, conduce la volpe a formulare la conclusione che “l’uva è acerba”.
La seconda solitudine ci investe quando la relazione finisce e le persone che sono intorno commentano: “com’è possibile che tu abbia resistito tutto questo tempo”? Questo fa sentire stupide perché, in fondo, non lo sappiamo neanche noi. Di nuovo non ci si sente comprese e quindi sole. È una sensazione bruttissima che sovrasta e che rende difficile la guarigione interiore. Ci vuole del tempo, a volte anni di attenzione al proprio modo di pensare e di pensarsi per uscirne fuori definitivamente. Bisogna lavorare su due piani:
- la ricostruzione di noi stesse
- da dove proviene quello che abbiamo vissuto?
Chi di noi è uscita dalla manipolazione emotiva e psicologica tende a parlare spesso di quello che le è successo. Forse perché il peso del trauma è così grande che sembra insopportabile da gestire da sole, e anche perché a volte non ci sembra neanche di avere vissuto qualcosa di reale, benché ogni giorno facciamo i conti con le conseguenze di quello che è stato.
Stare vicino a una persona che ha subito un’esperienza del genere e permetterle di elaborare l’accaduto, senza farla sentire (ancora) in colpa è molto importante.
Per lei – Se continui a chiedere al tuo partner se sta bene o se è arrabbiato con te, si tratta di una forma di monitoraggio emotivo che rappresenta la risposta a un trauma. Trauma dovuto a un ambiente instabile o abusivo in cui sei cresciuta o sei vissuta.
Per lui – Se la tua partner continua a chiederti rassicurazioni, non arrabbiarti con lei ma offrile la tranquillità di cui ha bisogno. La rassicurazione la aiuta a guarire e la sua abitudine a chiedere, nel tempo, diminuirà. Non sei il suo terapeuta, ma contenendola la aiuterai molto.
Per lei e per lui si possono anche invertire, ma raramente.
DOPO LA RELAZIONE
Chi vive in un ambiente di manipolazione psicologica, subisce situazioni di iperstimolazione cortisonica, per rimanere sempre iper-vigili e non “fare errori”, per preparare il contesto per la persona tossica in modo che tutto andasse bene e non si rischiasse di intavolare discussioni infinite (se non peggio…). Questo ci ha portate, in quanto vittime, a un grande esaurimento mentale e a un forte senso di angoscia, perché buona parte delle nostre attività mentali sono state rivolte alla gestione dello stress e alla programmazione, ed è restato veramente poco spazio per altro.
Perciò al termine di una relazione tossica, inizialmente possiamo provare un gran senso di rilassamento, ma dopo poco il corpo sentirà la necessità di ristabilire il carico allostatico (cioè lo stress) abituale fino a poche settimane prima.
Il termine tossico, utilizzato per definire questo tipo di relazioni, indica qualcosa di velenoso e nocivo per la salute ed è associato alla tossicodipendenza, cioè a quel desiderio o bisogno di continuare ad assumere una sostanza nociva, con sintomi di astinenza anche gravi in caso di sospensione. In questa fase di “astinenza” è molto importante essere sostenute da uno psicoterapeuta specialistico e fare attività fisica: nello specifico lo yoga è un ottimo strumento. Lavorare a livello cognitivo e a livello fisico è molto efficace: ciò che emerge nelle sedute psicologiche può essere elaborato e sciolto nel corpo e quindi tutto il sistema rimane allineato e forte.
Le donne con cui lavoro spesso non sanno più che direzione prendere, all’esterno e all’interno di loro stesse. Attraverso lo yoga, che lavora a livello psicofisico, è possibile rinascere, è possibile uscire dalle relazioni tossiche, è possibile non permettere più a nessuno, genitori, amici, partner, e figli compresi, di manipolarci psicologicamente.
Io ce l’ho fatta e ringrazio per poter sostenere altre donne in questo percorso di liberazione.
Non è facile, ma è senz’altro possibile!
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