Lourdes

GM Turi
Insegnante di lingua e cultura italiana a stranieri, curatore didattico della scuola Satkama Yoga.

Quando siamo andati a Lourdes abbiamo sbagliato aeroporto.

Siamo arrivati a Fiumicino in anticipo, parecchio anticipo, come sempre, pensando di trascorrere un paio d’ore tra i negozi del duty free a sbirciare vestiti di lusso che non avremmo comprato. Il tipo al check-in (perché c’erano con noi valigie da imbarcare in stiva) ha fissato il suo monitor, poi ci ha guardati, poi è tornato a fissare lo schermo, poi ha detto, Non vi trovo, poi ha spulciato ancora per un po’ i suoi passeggeri, poi ci ha guardati, Siete sicuri che il vostro aereo parte da qui, ci ha chiesto. Il nostro aereo partiva da Ciampino. Quando lavori al pubblico ne vedi e ne senti di tutti i colori.

A voler essere sospettosi, potevamo anche pensare che volessero impedirci il pellegrinaggio. Ma chi? Il fantasma capriccioso di Bernadette? La bella statuina frigida e bianca della grotta di Massabielle? Certo, ci saremmo sentiti meno sciorni. Se vi sbrigate a prendere un taxi ce la fate, ci dice il tipo del check-in con un sorriso rassicurante, ma è sicuro che dentro di sé avrà anche pensato, Poracci. E così entrammo in taxi e salimmo in aereo, abbandonando l’auto in un parcheggio satellite dell’aeroporto sbagliato.

L’assegnazione casuale dei posti in cabina di solito è una maledizione e tanto vale pagare il balzello e scegliere di sedersi affiancati, perlomeno se si viaggia in coppia, ma avevamo tentato la sorte e ci era andata male. Lei era finita al 4B e io al 27C. Di fianco a me sedevano due vecchie poco raccomandabili che si erano messe a litigare ancora prima del decollo. Una aveva tirato fuori da una saccoccia delle zollette di zucchero e ne succhiava una via l’altra, tanto che l’amica dopo pochi minuti le aveva detto, Daie, daie, Nazzarè, che poe te senti male. Incurante del pronostico, la Nazzarena aveva continuato a succhiare zucchero con una smorfia di dispetto, così che l’altra riprese, Annamo bene, vedrai che te senti male. Al che la biliosa diabetica aveva concluso il diverbio con un perentorio, Micchelì, fatte li cazze tue! 

Signore e signori, desideriamo richiamare la vostra attenzione su alcune dotazioni di sicurezza di questo aeromobile.

Arriviamo nel tardo pomeriggio, ci sistemiamo e usciamo. Lourdes è deserta. E noi che immaginavamo frotte di struppi e di malati in carrozzette! I negozi sono tutti chiusi, ci fermiamo in una brasserie, ci dicono che siamo capitati proprio nella pausa dei pellegrinaggi, che riprenderanno a ridosso del Natale, ora non c’è nessuno. La città è spettrale. L’Esplanade è un circo abbandonato dopo una corsa di bighe al fulmicotone. Fulmicotone… ’na parola de mi nonno. Scendiamo verso il fiume e verso la grotta, dove arriviamo seguendo il lontano brillore di un grande candelabro sempre acceso. E qui, a scapito della partenza incerta, ci mischiamo alla nebbia che sale dal fiume e alla nenia dolce e materna di un gruppino di signore portoghesi che sgranano il rosario, agora e na hora da nossa morte, amen. Di quei momenti che non vorresti mai finire e invece finiscono, come tutto il resto.

La mattina appresso, quando ci ripresentiamo al santuario, c’è più gente, ma non così più molta. Gli spazi da riempire sono enormi e quello che si intravede è una formichina qui, tre formicuzze là, ecco, niente di più. Ci sono certi che raccolgono l’acqua delle fontanelle con taniche in plastica. Litrate d’acqua, perché? Se la rivendono in parrocchia? Nei negozi di souvenir? Ci fanno i pediluvi? Mistero. Oltre la grotta le piscine sono ancora chiuse, causa contagio del ’20-’22. Nonostante l’inverno qualcuno probabilmente ci farebbe il bagno altrimenti. Invece c’è un usciere che non lascia passare e così la redenzione e la cura sono interdette d’ufficio. Una cosa incoerente, mi pare.

Ma pure è vero che ormai impetrare la guarigione ai santuari è di gusto antiquario. Una volta, quando venivano le carestie e quando gli uomini stremati dal lavoro dei campi e dalle guerre a quarant’anni erano dei vecchi e le donne erano esplose dai parti, quelle che sopravvivevano alle sepsi, beninteso, e i bambini morivano come le mosche per le influenze e le malattie infettive, forse allora affidarsi alla pietà di un dio sanguinolento e impotente poteva ingenerare riconoscimento e aggregazionismo, ma oggi? Oggi che siamo obesi e che ci passa il mal di capoccia con l’ibuprofene ha gran meno senso. Infatti ce ne sbattiamo delle chiese e dei santuari e alla mal parata ce ne andiamo in ospedale. A parte qualche mente derelitta, che si sa ci sta sempre e che continua a rifiutare trasfusioni e cure mediche. A loro penserà Dio al 50%, come desiderano, testa o croce.

Incontriamo anche il matto di turno che mentre passiamo si precipita fuori dalla macchina per urlare, Signora, signora, che capelli meravigliosi! Merci.

Così il primo giorno visitiamo il santuario in lungo e in largo e per i quattro giorni che abbiamo davanti dobbiamo inventarci qualcos’altro. Allora prendiamo due bici elettriche in affitto. Mossa geniale, perché Lourdes è una cittadina pedemontana di discese e, perciò, di salite, e la pedalata assistita ci svolta la vita. Diventiamo anche veloci. A casa di Bernadetta ci arriviamo in bici; ci facciamo una quindicina di chilometri bucolici lungo la Voie verte de Gaves in bici; in bici ci inerpichiamo per il salitone che costeggia la Basilica di Nostra Signora del Rosario, non per niente chiamato Route de la Forêt; arriviamo nella piazzetta del castello e ci giriamo intorno due o tre volte, sempre in bicicletta. Scorrazziamo, insomma.

Lourdes

Poi ci sembra che ci stiamo svagando troppo e che in fondo anche noi siamo partiti in pellegrinaggio. Una specie, almeno. Perciò ci ripresentiamo al santuario e alla grotta, ma un po’ svogliatamente. E chi ti ritroviamo? La Micchelina e la Nazzarena che si sono aggregate a un gruppetto di irlandesi bianchicci, con rosse capigliere, i denti a rastrello, e che cercano di seguire il rosario in lingua forestiera biascicandoci sopra l’italiano. La Micchelina che diceva, Benedetto il frutto del seno tuo, Gesù, mentre la Nazzarena le dava sulla voce quasi gridando, Benedetto il frutto del ventre tuo, Gesù, e così continuavano il loro bisticcio, sempiterno probabilmente. Dietro l’altare c’erano anche tre preti che si facevano i selfie durante l’orazione e, poco discosto dalle due vecchie litigiose, un altro prete giovane e piacente che faceva gli occhi da pesce lesso al balconcino di una parrocchiana, apparecchiato più per la discoteca che per la grotta di Massabielle.

Mi sale su un rigurgito di fraticelli e monachelle che cianchettano musiche profane in file coordinate sul sagrato della Basilica di San Francesco in Assisi, o su quello di Santa Chiara, lo stesso, e che si fanno anche fare i video. Ringrazio la Madonna per avermi risparmiato in questo viaggio l’umanità sfatta di vecchi, paralitici e ammalati e, insieme a quella, la scipitezza dell’attuale chiesa militante, che già quelle due gocciole omeopatiche di cretiniasi erano in sopravanzo. Non ho lo stomaco per gli infermi dalla spaventosa invalidità totale, per i paralizzati, i ciechi, i muti, e tutte quelle creature in cui il cristiano vede Gesù piagato, torturato e crocifisso; né ho la bardatura necessaria per sopportare il peso di chi mostra che il suo sacerdozio è ridotto a un balletto per fare l’amicone con i ragazzini e sta lì a raschiare il fondo del barile dimenticandosi con chi ha a che fare (Dio, intendo) e abbracciando con stolida lascivia il mondo.

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Lourdes è un romanzo di Rosa Matteucci pubblicato nel 1998. È un libro insolente e originalissimo, tragicomico e spietato, che per sua natura non ha mai avuto modo di essere macellato in film o in serie TV. È un racconto che al miserabile umano aggancia la chiamata della redenzione, in modo poco ortodosso magari, ma più che sufficiente a estrarlo dal nichilismo contemporaneo schiacciato sull’umanoide del presente. Cosa che alla cinematografia piace gran poco.

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