L’altro giorno a fine lezione un’allieva quasi arrabbiata mi ha detto: “Oggi non mi sono rilassata per niente! La sequenza è stata faticosa e durante il rilassamento ho pensato ai fornitori, ai corrieri, a tutto il lavoro”. E poi parlando della meditazione: “Non è possibile stare ogni volta a guardarsi dentro”.
Le ho risposto: “Succede, a volte non ci si rilassa, dipende dal carico allostatico che si ha nel corpo e nella mente”. E poi succede, a volte la sequenza yogica è impegnativa e magari non ci piace.
Penso a chi entra in sala col telefono in mano per mandare l’ultima mail o ancora prima di uscire dalla sala lo riaccende per controllare i messaggi… Quanto ci si è preparati per ricevere gli insegnamenti? E quanto tempo si è disponibili di concedere a sé stessi? Così può succedere che ci si sieda sì sul tappetino, ma che il sistema nervoso non abbia spazio per il rilassamento. Inizia così una lotta interiore, un costante giudizio e chiacchiericcio mentale che fa arrivare a fine lezione sfiniti. Ogni situazione però, volendolo, è un’opportunità di esplorazione interiore, per scoprire le proprie tendenze mentali, i preconcetti e le abitudini che ci governano e, nella migliore delle ipotesi, modificare e sciogliere tutte le strutture e le credenze disfunzionali acquisite nel corso della vita.
Perche’ si pratica lO YOGA?
Lo yoga non è fatto per ottenere consensi, per fare quello che piace allo studente. Lo yoga è una forma di unione (tra micro e macrocosmo) che dona una grande opportunità di trasformazione, e per questo gli studenti devono praticare ciò che l’insegnante ritiene sia meglio per loro, individualmente e come gruppo, in quel dato momento.
Quindi pratichiamo yoga per quale motivo esattamente? Per intrattenerci con un’attività che ci conforta e ci corrobora?
Lo yoga, come dice l’etimologia della parola, è una pratica che mira al (ri)congiungimento con sé stessi, con gli altri, con la Natura e quindi con la divinità. All’inizio si imparerà a respirare meglio. Muscoli, nervi e giunture si allungheranno e si lubrificheranno, si diventa più flessibili, agili, leggeri. La salute del corpo migliorerà e insieme a quella anche la salute della mente. Ma lo yoga, appunto, non è solo una ginnastica posturale, non è uno sport per rimanere in forma e rimettere in circolo un po’ di endorfine. Lo scopo dello yoga è una maggiore consapevolezza di sé stessi, degli altri e del mondo che ci circonda, per intraprendere un percorso di affinamento delle proprie capacità percettive e, di conseguenza, modificare in meglio le relazioni che ci legano alla realtà in cui viviamo.
La pratica yogica non è uno spettacolo che necessita di registi e di attori di talento. La trasmissione degli insegnamenti non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni, attenzione e cura di sé. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero, ma il mistero della sacralità della vita e della connessione con il divino.
Molti pensano che lo yoga debba essere “fatto” per la risoluzione di piccoli problemi fisici (dolori al collo, spalle, schiena) o per risolvere le tensioni mentali (agitazione, stress). È una visione che ha condotto a misurarne il “successo” in termini di efficacia e, spesso purtroppo, di intrattenimento. In questo modo però viene perso il “non fine” dello yoga, che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che durante la pratica avvenga l’unione tra il micro e il macrocosmo. Il mal di schiena e lo stress magari passeranno, ma sono effetti collaterali.
Se questo non interessa, allora forse è meglio farsi una passeggiata nella Natura (o due passi nella Creazione), distrarsi con un bel film o un buon libro (a patto di riuscire a trovarne), andare a vedere una partita di calcio o uscire con gli amici. Tutte attività piacevoli e che possono anche dare una buona carica positiva. Dipende quali sono le proprie priorità e necessità.
Lo yoga non è una forma di intrattenimento o di distrazione.
Lo yoga è per tutti ma non è sempre per tutti.
LA VIA DELLO YOGA
L’esercizio di determinate antropotecniche non è qualcosa di separato o di separabile da una particolare visione del mondo (ovvero da una dṛṣṭi, o ‘modo di vedere’), e come tale esercizio presuppone immancabilmente una familiarità profonda con un ricco patrimonio di concezioni, credenze, valori e orientamenti, nonché con una sistema etico di riferimento.
Marco Passavanti, La luce d’oriente e la retorica dell’esperienza
Patanjali addirittura ci dice che prima di iniziare a cimentarsi in posizioni (asana), respirazioni (pranayama) e meditazioni, occorre seguire dei principi etici e morali che stanno alla base della propria felicità. Patanjali, è vero, è di qualche tempo fa… ma personalmente trovo le sue indicazioni molto interessanti, ne comprendo il valore che chiarisce in che direzione conduce la pratica yogica. Vediamoli brevemente.
– ahimsa, non violenza: rinunciare alle ostilità e all’irritabilità, non negare sorrisi agli altri e a sé stessi, non pensare male di qualcuno, non agire spinti dall’odio/rabbia
– satya, verità: valutare sia ciò che diciamo sia ciò che non diciamo, agli altri e a noi stessi, valutare la qualità delle parole e dei pensieri
– asteya, non rubare: astenersi dal prendere tutto ciò che non viene offerto liberamente e, quando si prende, assicurarsi di poter restituire a qualche livello, perché tutto è interconnesso.
– brahmacharya, moderazione energetica: impedire la dissipazione della propria energia attraverso l’uso eccessivo dei sensi, non agire di impulso (tutto ciò che provoca turbolenze nella mente e stimola le emozioni è una violazione di questo principio)
– aparigraha, non afferrare: non accumulare beni per avidità, nella consapevolezza che poi bisognerà prendersene cura, che ci affezioniamo e a volte ci si identifica con essi
– saucha, purezza: mantenere le cose pulite dentro e fuori, mantenere l’ordine delle cose e dei pensieri
– santhosa, contentezza: sperimentare la gioia per la vita così com’è
– tapas, autodisciplina: sviluppare volontà nella disciplina, nutrire l’ardente desiderio di imparare, che brucerà le impurità ed accenderà le scintille della divinità
– svadhyana, studio individuale: attivare lo studio di sé e dei testi sacri per favorire la comunione con il divino
– ishvara pranidhana, dedizione all’altissimo: favorire l’amore, la comunione e l’abbandono alla matrice divina
Si tratta quindi di un percorso impegnativo, per qualcuno più e per qualcuno meno. Occorre sviluppare presenza mentale e rimanere vigili, prima che ogni principio diventi una propria seconda natura.
Certo, so e capisco che oggi la maggior parte delle persone pratichino yoga per rilassarsi mentalmente e fisicamente, ma la realtà vuole che nello yoga ci sia una tensione, al divino.
La stessa sera un’altra allieva mi ha chiesto: “Ma tu sei sempre stata così calma?”. “No” ho risposto, “anzi, ero un’irosa repressa che a volte esplodeva in psicodrammi”.
“E come hai fatto a cambiare?”
“Con lo yoga, praticando tutti i giorni”.
Con costanza, superando la noia, la pigrizia, la stanchezza: l’impegno verso noi stessi necessita di motivazione. Per me la connessione con il divino è la priorità, il cambiamento personale è conseguente.
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