L’industria dello yoga

È attivo in questi giorni un progetto di crowdfunding su Kickstarter intitolato The Yoga Industry – A Documentary about what yoga has become.

Il fatto che qualcuno abbia sentito l’esigenza di fare un documentario del genere è di per sé già preoccupante. Ma che tale esigenza sia in vari modi sentita e condivisa in modo trasversale nel mondo dello yoga è estremamente preoccupante. Ma è una preoccupazione importante?

Certo, in un mondo ormai volto al social che ha visto il recente proliferare di improbabili attività commerciali attribuite all’etichetta “yoga” quali Beer Yoga, Gun Yoga, Horse Yoga, Dog Yoga, una preoccupazione del genere, per i seri praticati, yogi e yogini, è comprensibile. Eppure non è una novità, nonostante la nostra memoria corta o nulla.

Risale al 1979 il libro di Gita Mehta, Karma Cola, una raccolta di racconti satirici al limite del sarcastico, in cui l’autrice racconta, dal punto di vista degli indiani, l’arrivo in India gaudente e spensierato di fricchettoni e viaggiatori hippies alla ricerca di sballi facili e deregolati e spiritualità prêt-à-porter.
Senza contare i contatti in antico, in quell’epoca greco-romana in cui gli asceti indiani venivano chiamati ginnosofisti, questi degli anni ’60-’70 erano in effetti la seconda generazione di contratto tra occidente e India, venuta dopo i seri eruditi orientalisti che tra ’700 e ’900 avevano affrontato i temi di civiltà e spiritualità indiana, nonché dato inizio alle traduzioni dei testi.
Il sottotitolo del libro della Mehta è “Marketing the Mystic East”, o in italiano “Il supermercato del misticismo orientale”. Già era chiara da allora la direzione intrapresa, ciò però non ha impedito che gli studi seri sull’India e le sue religioni proseguissero, né che alcuni yogi e guru indiani si trasferissero negli Stati Uniti o in Europa per portare il loro antico messaggio di saggezza pratica e spirituale.

Nell’introduzione a Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Marx scrive:

Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa.

La situazione odierna a cui si fa riferimento con la definizione “industria dello yoga” ci mette davanti a una terza ondata di interferenza tra “occidente” e India, non prevista nemmeno da Marx. Se dunque il primo contatto può dirsi “tragico”, nel senso di dotto ed erudito, e il secondo “farsesco”, nel senso di fricchettone ed evasivo, nulla vieta al terzo (quello presente) di essere nel contempo patetico e risolutivo: patetico nel senso vilmente commerciale di cui sopra (Beer Yoga, Gun Yoga ecc.) ma risolutivo nel senso di un sincretismo e di una sintesi virtuosa tra modo di vivere e pensiero occidentale e pratiche e filosofie indiane, a causa del quale entrambi perdono l’originaria autenticità per fondersi in qualcosa di nuovo. Questo è il senso profondo di sincretismo, un ibrido che crea una novità e che spaventa i conservatori, chi per qualsiasi motivo non è disposto al cambiamento (per inciso, il cristianesimo nacque da un analogo processo di ibridazione tra ebraismo antico e paganesimo greco-romano, e come questo probabilmente tante altre religioni, se non tutte).

Diventa perciò parte dell’attenzione e della responsabilità di ognuno verso se stesso, la capacità di sapere discernere l’utile dall’inutile e lo stolto dal saggio, ognuno al suo livello e secondo le proprie capacità di intendimento.

 


 

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