La meditazione: istruzioni per l’uso

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Dal 1998 a oggi ho meditato quasi tutti i giorni e ho sperimentato tantissimi tipi di meditazione, appartenenti a diverse scuole yogiche, filosofiche o psicologiche. Meditazioni statiche, dinamiche, con o senza mantra, con concentrazione al respiro o su un oggetto. Provo a raccogliere qui alcune istruzioni per l’uso della meditazione.

La meditazione porta consapevolezza nel senso che porta alla distruzione dell’ignoranza, intesa come idea di una personalità indipendente e duratura. Si tenta di comprendere che non esiste un io o sé separato da tutto e da tutti e/o a questi opposto.

Nella mia esperienza, l’idea di un sé completamente indipendente è causa di sofferenza per attaccamento, rabbia e bramosia.

“Io, è solo il nome convenzionale per un insieme di fattori mutevoli, interdipendenti e contingenti che stanno alla base dei coinvolgimenti emotivi.” – Consapevolezza: la via oltra la morte. Associazione Santacittarama

Parlare dell’esperienza meditativa è molto difficile, perché si tratta di esperienze personali, irripetibili e transitorie. Ma capisco che ci può essere interesse al confronto, soprattutto da parte di chi non si è mai avvicinato alla meditazione.

Abbiamo già parlato della finalità della meditazione, della consapevolezza e dei preconcetti esistenti in merito alla pratica.

Pre-requisito essenziale per intraprendere la pratica è la fiducia nella sua validità, ma il requisito essenziale è l’esperienza.

Le cinque caratteristiche della meditazione

Cinque punti, secondo me, sono molto importanti da considerare nella propria pratica meditativa:

  1. non avere particolari aspettative e non ricercare esperienze già vissute che si sono ritenute valide
  2. avere un’attitudine di curiosità e di esplorazione rispetto all’esperienza
  3. riconoscere le resistenze e i limiti della propria mente
  4. essere compassionevoli verso la propria capacità di attenzione: impegnarsi con costanza, ma senza rigidità
  5. iniziare con tempi ridotti e aumentare gradualmente

In meditazione, a seconda della tecnica che si utilizza, sia che ne siamo consapevoli o meno (in caso di principianti), entrano in gioco cinque fattori che costituiscono l’esperienza e, in una visione più ampia, l’essere:

  1. la forma
  2. le sensazioni
  3. la percezione
  4. i processi mentali
  5. la coscienza
 Istruzioni per l'uso della meditazione

Questi cinque fattori, sono sempre presenti in noi: dobbiamo solo diventarne consapevoli. Soprattutto durante la pratica meditativa. Non  è semplice, a volte si medita seguendo i propri pensieri o le proprie fantasie, piacevoli e meno, e non si è completamente presenti. Probabilmente si termina la meditazione con una sensazione di confusione mentale e di perdita di tempo. Ma in questi casi, come sempre, è sufficiente accorgersene per poter tornare, gentilmente e senza giudizio, sui cinque fattori (anche una volta terminata la pratica, la consapevolezza è in ogni nostro respiro).

Sappiamo che la meditazione, in linea generale, procura benessere, calma, tranquillità, anche gioia, sul piano fisico e mentale. La meditazione permette alla mente di diventare uno strumento di osservazione degli avvenimenti che si manifestano e di considerare non solo il proprio punto di vista ma tutto il flusso dei movimenti collegati a tali avvenimenti. Si diventa vigili, attenti e più saggi.

I trabocchetti della meditazione

La consapevolezza accresce l’efficienza mentale, riduce il numero di errori dovuti alla disattenzione e alla mancanza di consapevolezza.

“La nostra disciplina fondamentale è non essere distratti. Tutto qui, non potrà mai essere meglio! Riconoscete che non potrete mai essere migliori, sarete meno distratti.” – Guru Dev Singh

Voglio raccontare ora le mie esperienze con le meditazioni del Kundalini Yoga, con quelle di Osho e con la Mindfulness. Sono esperienze personali da prendere come tali. Anche insegnare la meditazione infatti è complesso: occorre evitare di portare la propria esperienza nella conduzione, si finirebbe con l’influenzare inevitabilmente l’originalità dell’esperienza del praticante. L’insegnante è lì per condurre e contenere, dare sostegno e lasciare libero il fluire delle esperienze personali.

Se un praticante riporta di non aver percepito nulla, che l’esperienza è stata molto difficile o noiosa, l’insegnante gli fa notare come anche questa sia una forma di consapevolezza: l’idea del fallimento o di dover raggiungere qualcosa di specifico sono insidie spinose in meditazione. La pratica costante rivelerà progressivamente il cammino: “comprendi attraverso la compassione o non comprenderai i tempi” è il quarto sutra dell’Era dell’Acquario, secondo la tradizione del Kundalini Yoga come insegnato da Yogi Bhajan: prima la compassione, poi la comprensione. Ci vuole fiducia, pazienza e amore verso se stessi. Lo yoga in 5 minuti non esiste. E poi non bisogna capire, ma sarebbe bene esercitarsi a sentire.

“Quando insegnate non condividete la vostra esperienza, perché non sono sicuro che la vostra esperienza sia superiore alla mia esperienza. Perché dovrei avere bisogno di imporre la mia esperienza come se essa fosse la fonte della felicità? L’unica cosa da fare è mostrare cosa nello studente stia resistendo alla sua propria esperienza. Magari l’esperienza dello studente è così superiore alla vostra, che voi non avete idea di cosa sia. Questo vi  porta in una posizione di servizio senza controllo o possesso dello studente. La vostra speranza è che lo studente possa essere molto migliore di voi.” – Guru Dev Singh

Il Kundalini Yoga: lo yoga della consapevolezza

Sono insegnante di Kundalini Yoga come insegnato da Yogi Bhajan dal 2011, lo pratico dal 2000. Esistono centinaia di meditazioni in questa tradizione, ognuna di esse ha una funzione ben specifica a seconda della situazione su cui si vuole lavorare: mente positiva, negativa, neutra, sviluppo della capacità percettiva, aumento della vitalità, stabilità del funzionamento degli emisferi, prosperità, depressione fredda, autostima, desiderio di ricongiungimento con il divino, ecc.

Le meditazioni possono essere con o senza mantra. Questi derivano dalla tradizione Sikh e usano l’alfabeto Gurmukhi (che signifca “dalla bocca del Guru”), creato per trasmettere gli insegnamenti di Guru Nanak, mistico del XVI secolo che intraprese un importante dialogo interreligioso tra induismo e Islam, innovativo per l’epoca e l’area di provenienza e rivolto all’uguaglianza di ogni essere.

Nel Kundalini Yoga i mantra creano una vibrazione sonora che permette di iniziare a muoversi verso la connessione con la propria anima: ogni azione è indirizzata a questo. La pronuncia di quelle specifiche lettere crea il Naad, la connessione con il suono creatore (il Verbo di altre tradizioni): la lingua batte su alcuni degli 81 punti meridiani presenti nel palato alto, stimolando così determinati punti energetici ed endocrini nel nostro corpo e generando cambiamenti psicofisici. Per esempio, quando leggo il Jap(u)Ji, la mia colonna si allunga e raddrizza da sola, senza il mio intervento volontario, le spalle si abbassano, il petto si apre, il plesso solare si distende.

A volte si usano dei mudra, un gesto o una posizione delle mani che guida il flusso dell’energia durante la meditazione.

In meditazione è importante avere sempre la schiena dritta e la nuca allineata alla spina dorsale, al fine di permettere al liquido spinale e alla kundalini di fluire lungo la colonna vertebrale. Ci si può sedere a terra o sopra una sedia con i piedi ben aderenti al terreno e le gambe aperte come la misura del bacino. In genere la meditazione è preceduta da una sequenza di esercizi fisici, definiti kriya.

Le meditazioni della tradizione del Kundalini Yoga sono molto efficaci, possono essere brevi, a partire da 3 minuti, o lunghe, fino a 62 minuti. E a seconda di quanti giorni e per quanto tempo si praticano, si hanno degli effetti specifici nel corpo e nella mente.

Le meditazioni e la pratica yogica mi hanno sostenuto sempre in questi anni, mi hanno aiutato a trovare coraggio, autostima, stabilità mentale e tranquillità interiore. Attraverso la pratica ho conosciuto le mie paure e capito come affrontarle e gestirle. Ho compreso la natura delle mie relazioni e imparato a essere più gentile, presente e compassionevole.

Quasi tutte le meditazioni del Kundalini Yoga mi hanno lasciato un profondo senso di appagamento e di pace interiori, ogni situazione che sembrava problematica si è ridimensionata, se non illuminata, vuoi per aver esperito l’unione con il divino o per aver sentito la mia forza interiore, per aver equilibrato il fluire dei pensieri o per aver sciolto blocchi emotivi importanti. Alcune meditazioni sono sfidanti, per me lo sono state soprattutto quelle in cui occorre controllare il respiro in uscita (per esempio la respirazione da 1 minuto: 20 secondi inspiro, 20 secondi trattenimento e 20 secondi espiro) o quelle in cui occorre tenere le braccia sollevate per molto tempo. Ma queste ultime sono anche le mie preferite, perchè se ti concentri sul respiro o sul mantra il dolore sparisce e ti accorgi dei limiti della mente, senti un grande senso di espansione, di radicamento e di elevazione allo stesso tempo.

La mia percezione durante le meditazioni del Kundalini Yoga è di essere un’antenna ricevente. Il corpo è uno strumento meraviglioso per sperimentare il senso di appartenenza universale. Radicàti e in ascesa, sicuri e ispirati.

Le meditazioni dinamiche di Osho

Ho praticato le meditazioni insegnate da Osho durante la mia formazione presso il “Centro di consapevolezza psicosomatica e crescita personale per una nuova società umana”, il cosiddetto Villaggio Globale di Bagni di Lucca. In particolare ho sperimentato le meditazioni chiamate Dinamica, No Dimension e Kundalini. Sono tutte meditazioni in movimento: per lavorare sulla mente è sempre bene muovere prima il corpo, per sciogliere blocchi psicosomatici. Tutte prevedono al termine uno spazio di rilassamento e di silenzio in cui il corpo e la mente  possono riequilibrarsi.

Ho sempre avuto molta difficoltà a relazionarmi con la meditazione Dinamica: eccessivamente violento come effetto catartico, probabilmente perché ho sempre avuto resistenze a dare sfogo incontrollato alla mia rabbia interiore. Molti la trovano formidabile, un ottimo sfogo riequilibrante: come sempre è l’esperienza personale che conta, quindi provatela, se siete curiosi. Nella fase catartica occorre contattare l’emozione che si sente nel momento e spesso mi sono trovata in gruppi che, appunto, manifestavano rabbia e disperazione. Dopo un po’ che la si pratica e ci si prende confidenza, diventa abbastanza fattibile e anche liberatoria. Ma non la pratico e non la propongo nei miei corsi o ritiri.

 Istruzioni per l'uso della meditazione

Le No Dimension e Kundalini invece mi piacciono molto e soprattutto la seconda ha un effetto molto positivo su di me. In entrambe si balla, in modi diversi: la prima muove il prana nelle 4 direzioni usando l’energia del terzo chakra, il punto dell’ombelico; la seconda stimola la kundalini usando l’energia del secondo chakra, all’interno degli organi genitali. Quindi la prima lascia un senso di stabilità e di purificazione, la seconda dona una pacifica vitalità interiore.

Le meditazioni del Kundalini Yoga mi sembrano più mirate ed efficaci, queste piacevoli e rilassanti ma meno “istruttive”.

La presenza nel “qui e ora”: la Mindfulness

Anche la mindfulness l’ho scoperta e praticata al Villaggio Globale di Bagni di Lucca. Esistono tanti approcci differenti alla mindfulness, quella che ho sperimentato e imparato si chiama “mindfulness psicosomatica”. È una tecnica meditativa praticata attraverso l’attenzione al respiro e ai piccoli movimenti interni del corpo, per imparare a prestare attenzione al proprio vissuto, in modo intenzionale e non giudicante, al fine di risolvere (o prevenire) situazioni di disagio interiore.

Imparare ad avere la padronanza dei propri contenuti mentali e delle modalità abituali di pensiero permette maggiori possibilità di esplorazione, espressione e, se necessario, cambiamento di tali contenuti. In altri termini, è importante cambiare la relazione con i propri schemi di pensiero che a volte si sono sviluppati inconsapevolmente, per rispondere in modi nuovi ed efficaci alle sfide della vita.

È una tecnica molto valida per chi non vuole per forza usare il corpo, è relativamente facile impararla in modo poi da poterla praticare da soli e in qualsiasi momento se ne senta il bisogno. È una tecnica che può in breve tempo insegnare quello che viene definito “stato di presenza”.  Qualcuno ha difficoltà iniziali a rilassarsi e lasciare andare le tensioni e i pensieri, ma anche qui si tratta di abitudine.

Conclusione

Nella mia esperienza unire la pratica yogica e le conoscenze relative al funzionamento dei sistemi ormonale, nervoso e psichico è stata una grande integrazione verso la comprensione di come funziona il nostro corpo e come agire per sciogliere determinati blocchi fisici ed emotivi.

Praticare con costanza e fiducia non è semplice, ma possibile. Fare esperienza è, secondo me, l’unico modo per interiorizzare concetti e intenzioni che rischiano di rimanere solo al livello mentale.

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