Il sentiero
C’è un sentiero che svolta lungo una via di traffico, chiuso alla vista da un roveto contorto. Dopo il ciglio della strada un fosso sdrucciolo e dopo il fosso un buco nel roveto. Dopo un sentiero erboso che si infila tra gli alberi, gli ampi castani che ogni anno rivestono di foglie crepitanti l’antica strada di pellegrinaggio. In realtà irrilevante dove andassero, pellegrini e strada. Il dove è sempre stato un modo per andare, la meta solamente un vizio di pensatori rivolti al tornaconto. Il cammino va dove deve e vuole. Il sentiero c’è. È un fosso e degli arbusti e poi erba, foglie e un passo dopo l’altro da fare. Non porta da nessuna parte. È un gesto: quello di un passo messo dietro l’altro.
Non c’è che un buco e un roveto mezzo secco lungo un fosso, anche quello secco. In altri momenti è più umido. Altre volte è un torrente lutulento e discarica di mozziconi, lattine, buste di patatine stropicciate, pacchetti di sigarette accartocciati. Un fosso lungo una strada. È secco e sporco e può anche fiorire. È umido e, fiorito, marcisce. Un buco in un roveto, un percorso che sembra avere inizio tra i castagni. Non è niente e quasi non si vede. Un’apertura. Una svolta violenta
La terra
E poi più niente da fare e niente passatempi.
C’è invece un grande silenzio che mette ogni cosa anche remota sotto mano. Silenzio che annulla gli spazi nella centralità di ogni pianta, di ogni briciola di terreno, di ogni animale che fugge e si sposta, canticchia, trascorre. È oltre i confini della civiltà che ogni cosa che c’è è fissa al centro del mondo.
Terra come elemento. La terra morbida e scura; la terra che si sbriciola e si spacca, secca, che si crepa nei campi come il volto sbrecciato di un vecchio; la terra dei calanchi e dei crepacci, quella delle tane; la terra che si ammanta d’erbe, di fiori, di piante e poi, al ritmo dei suoi cicli, li riassorbe. Le terre che rimangono, tra i campi diventati cantieri e il bosco rifatto a legname.
Terra per ricondursi alle capacità del proprio corpo. Mettere la vita sul piatto, puntarla tutta insieme in una volta. Diventare un parassita edotto tra le gibbosità spugnose del pianeta.
Consumare
Fuori qualsiasi barbarie.
Il bosco di notte non è in festa. Schiocca qualche ramo che si spezza. La quiete profondissima bisbiglia conoscenze ignote. Un latrato lontano. Lo strillo acido di una civetta violento graffia l’aria in sospensione. Tutto intorno è in continuo aggiustamento.
Poi le foglie s’impastano sotto dei passi. Passi animali? Passi di folletti?
Passi si fermano, girano intorno.
Passi su entrambi i lati, come di accerchiamento.
Poi un risolino e un bisbiglio. Poco più oltre un vociare d’improvviso di persone. Nel bosco? Di notte?
Saranno elfi? Ma erano persone?
O forse insieme è sonno e veglia? Sonno animale, veglia vibrante del bosco.
Quiete della violenza naturale: consumare, essere consumati.
Il linguaggio
Nella natura selvatica le ambizioni si fanno più essenziali. Trovare protezione, nutrirsi. Passare un altro giorno sani. Si impara a comportarsi in fretta, a non seguire scopi futili né obiettivi al di sopra di sé stessi.
Per questo la natura, anche per questo la natura è disumana.
Ma in una recessione al naturale si presentano alcune stranezze. Non ci si riesce a raschiare e a rinascere mondati di tutto. Nel trapasso c’è molto che resta, che si sfilaccia da una vita all’altra come un tessuto teso fin oltre lo strappo, ma non reciso e nemmeno rammendato. I lineamenti degli affetti si stemperano, uno e l’altro si confondono e si ricompongono, e ne resta il sentire che diventa il ricordo di un racconto.
Rimane soprattutto il linguaggio. Un linguaggio che poi qui si conforma ai rami freddi, al vento, alle bestiole e ai cinghiali del bosco, ai cervi, all’impasto delle foglie e dei ricci di castagna che nel volgere dell’inverno si fa fango.
Acqua dal cielo
territorio che comincia a dilamarsi.
Piovasco
erpice di lame d’acqua.
Nuvole liquefatte.
Cachinni dei fogliami.
Rifugio nella roccia.
Acqua dal cielo. Sono gocce e pozzanghere e ruscelli. Sono colori di cortecce che intristiscono, che poi risucchiano i raggi scialbi che si mischiano tra i rami per drenarsi. Sono un frusciare di ali che si bagna e le pareti delle grotte che mettono su muffa.
La neve
Un giorno un’aria cattiva, umida, di neve. Non nevica ma è il vento che ne parla.
Dei vapori si sollevano da un rigagnolo nella radura più in basso. L’acqua è calda. Acque maleodoranti. Il corso è stretto fino alle cascatelle e ai sassi bianchi, glassati di un calcare ustorio. Sono pozze fumanti di acqua calda e intorno l’aria grigia e blu piena di ghiaccio.
Sono la signora del bosco e, dico, Ah, che il mondo mi assecondi! Parlo a me stessa, mi ascolto, il mio udito e la mia propria voce. Mi racconto. Come se il raccontarmi a voce alta mi rendesse più vera e più presente. Trasento il potere del linguaggio, quell’unico potere – ma immenso e devastante – di fare del mondo un discorso.
Il disgusto
Le albe dei giorni sono i momenti più spietati, vivaci e così gelide dopo una notte intera all’ombra delle stelle.
Il bosco ha mille sapori. Poi una mattina, alla svolta di un sentiero, una carogna su un giaciglio di sassi. E un cinghiale con il muso infitto nella carcassa a svuotarne i segreti. Poco fetore, il freddo lo trattiene.
La soglia del disgusto.
Nuovi sapori ruvidissimi, intensi.
Della pioggia che precipita dal cielo – acqua, ma pungente e ghiaccia.
Della scorza del legno di castagno – farinoso e caldo – del legno di faggio – ferroso, asprigno.
Del muschio verde – delicato di umido spugnoso.
Sapore di foglie, di sassi. Sapore di acque solforose.
In primavera ci saranno i fiori.
Oltre la soglia del disgusto, riunirsi meglio a quanto c’è d’intorno.
L’acqua
Acqua dal cielo
territorio che fa a dilamarsi.
Piovasco
erpice di lame d’acqua
che dirime e rimpasta.
Nuvole liquefatte.
Cachinni di fogliame decomposto
e i rami lacrimosi in gramaglia.
Acqua santa dal cielo che non smette
la sua benedizione ridondante.
Rifugio nel santuario
della roccia.
La fame
E il giorno dopo non il sole ma altra pioggia. Fa quasi più caldo, la luce riprende piano il sopravvento. I minuti, che trascorsi all’aperto si sentono tutti, si vive un po’ più a lungo. Perché nei boschi l’arrivo della notte pone termine al giorno.
Solitario, desolante, ma ogni giorno che trascorre è una conquista.
Le prospettive cambiano.
Le abitudini che vengono a mancare, e così i volti noti e i luoghi.
È un’altra cosa stare dall’altra parte.
La parte dei reietti
delle bestie
degli invisibili
dei santi.
L’acqua e la frutta non bastano. I frutti non si trovano e l’acqua è tanta ma non nutre niente. Avere sempre fame è quasi non averne. Ci si abitua a tutto.
Quando si ha fame però non si pensa che al cibo. Quando il sapore del digiuno è dietro ai denti non ci sono pensieri diversi.
Quando ci si avvicina al regno della sete e della fame, delle penurie e della storia immensa e infame della povertà.
L’accampamento
Un giorno poi finisce l’inverno.
Ci sono margherite bianche e gialle, ci sono ancora primule, le malve, i rosolacci.
L’accampamento è su un prato in mezzo ai boschi. Intorno i boschi, intorno le colline che da un lato scendono alla costa, dall’altro si alzano verso le cime e i valichi montani. Tra i giovani si è sparsa la voce dell’inverno trascorso nella natura selvaggia. Vogliono ascoltare i suoi racconti. Dice che non l’ha fatto per quello, ma per raccontare racconta.
“Voi non sapete che cos’è un cuore in festa”.
Racconta allora il freddo. Racconta delle notti nelle grotte, dei boschi, del vento, delle acque bulicanti, della fame, delle bestie, del sapore del mondo, delle forme dei desideri. Racconta del potere del racconto.
#
Amazzonia è un memoir di Emanuela Evangelista pubblicato nel 2023. Recipiente del Premio Campiello Natura 2024, il libro è una storia di frontiera nella quale l’Amazzonia si mostra luogo di sfida e trasformazione. Nella foresta il confine tra natura e umanità è estremamente labile, riportando alla memoria il Cuore di tenebre di Joseph Conrad ma anche l’Apocalypse Now di Francis Coppola, che di Conrad è esplicito debitore. Lo stile è solido, a tratti classico, indice di estrema concretezza di carattere e di infaticabile perseveranza.
0 commenti